INTRODUZIONE

Strano, idolatrico, ma di culto si tratta quello descritto in questi versetti di I Re 18. Il culto è la manifestazione interiore ed esteriore del sentimento di profondo rispetto e di riverenza individuale prima, collettiva poi, reso alla divinità. Questo sentimento viene indirizzato da molti alla famiglia (per esempio, diciamo spesso a proposito di chi alla famiglia tiene in maniera particolare: “Ha il culto della famiglia”), alla patria, alla verità, alla bellezza, ecc. Il culto è un sentimento di forte attaccamento quasi di adorazione a qualcosa o a qualcuno: per lo sport, per il coniuge, per un genitore, per lo studio, per il lavoro e quindi a tutto ciò può essere dedicata una grande cura, perfino meticolosa, per esempio il culto della propria persona, dell’eleganza, del mangiare, del telefonino, del computer, ecc. Infatti, il termine culto proviene da una parola che vuol dire “coltivare”, quindi quello rivolto al Signore comprende grande cura, profondo rispetto, sentita riverenza per il Signore. È questo il vero culto, il culto sano, gli altri sono vuoti, inutili, vani, perfino nocivi (cfr. v. 29).
Notiamo cosa manca in questo culto idolatrico e che invece troviamo nel culto vero, quello reso al Signore.

LA PARITÀ

Consideriamo il suggerimento di Elia:

Allora Elia disse ai profeti di Baal: “Sceglietevi uno dei tori; preparatelo per primi, poiché siete più numerosi; e invocate il nome del vostro dio, ma non appiccate il fuoco” (I Re 18:25)

“Per primi, poiché siete i più numerosi”: nel culto idolatrico si osserva la gerarchia, ci sono quelli che vengono prima e quelli che vengono dopo, quelli che hanno la precedenza e quelli che seguono. Nel culto al Signore, invece, abbiamo tutti gli stessi diritti. Abbiamo doni differenti, ma non essendo nostri non ci costituiscono superiori a nessuno. A volte ci lasciamo intimidire da chi è più spigliato, più loquace, più disinvolto e ne soffre il culto a Dio. Dio non l’ha stabilito, ma noi facciamo sì che si creino i primi e i secondi, i superiori e gli inferiori, quelli che partecipano e gli spettatori. Siamo la chiesa dei primogeniti: “Voi vi siete invece avvicinati al monte Sion, alla città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste, alla festante riunione delle miriadi angeliche, all’assemblea dei primogeniti che sono scritti nei cieli” (Ebrei 12:22, 23). Noi siamo la chiesa dei primogeniti, ma Uno solo è il primo e anche l’ultimo tra noi, è Lui che deve avere il primato: Gesù. Non alcuni, ma tutti noi veniamo dopo di Lui… tutti quanti, senza distinzione!

LA PRONTEZZA

Quelli presero il loro toro e lo prepararono; poi invocarono il nome di Baal dalla mattina fino a mezzogiorno, dicendo: “Baal, rispondici!”, ma non si udì né voce né risposta; e saltavano intorno all’altare che avevano fatto … E passato che fu il mezzogiorno, quelli profetizzarono fino all’ora in cui si offriva l’offerta. Ma non si udì voce o risposta, e nessuno diede loro retta (vv. 26, 29)

Quindi, invocarono Baal dalla mattina a mezzogiorno, ma non si udì né voce né risposta, anzi lo invocarono fino alla sera, “fino all’ora in cui si offriva l’offerta. Ma non si udì voce o risposta e nessuno diede loro retta”. Quanto tempo ad invocare il nome del loro dio, il nome di Baal. Come credenti nel vero Dio dobbiamo pregare, supplicare, invocare il Signore, perché la preghiera è la nostra vita, è come il nostro respiro, non possiamo farne a meno, è come l’aria per il nostro corpo. Dio, però, non ci risponde per il tempo che trascorriamo in preghiera: il tempo trascorso in preghiera serve a noi, ma non a Dio. Dio ci risponde per la Sua bontà e per la Sua misericordia. Pietro elevò una delle più brevi preghiere mai formulate: “Signore, salvami” e Gesù gli rispose. La preghiera non è mai tempo perso, è tempo guadagnato, perché Dio è vivente: “… non si udì né voce né risposta”, ma Dio ode e risponde: “Avverrà che, prima che m’invochino, io risponderò; parleranno ancora, che già li avrò esauditi” (Isaia 65:24).

LA POTENZA

A mezzogiorno Elia cominciò a beffarsi di loro dicendo: “Gridate forte; poiché egli è dio, ma sta meditando, oppure è indaffarato, o è in viaggio; può anche darsi che si sia addormentato, e si risveglierà” (v. 27)

Elia cominciò addirittura a beffarsi dei profeti di Baal e forse non aveva tutti i torti, infatti il nostro Dio non deve meditare per conoscere le risposte da dare, dispone delle soluzioni prima che i problemi si presentino, vede la fine fin dal principio, conosce le circostanze in cui viviamo prima che si verifichino, non deve imparare, sa già tutto. Dio non è mai abbastanza indaffarato da non ascoltare, da non aiutare, da non soccorrere. L’Apostolo Paolo diceva: “… una cosa faccio …” (Filippesi 3:13), perché noi esseri umani siamo così, possiamo ed è meglio che anche facciamo una cosa alla volta. Dio può fare miriadi di cose contemporaneamente. È Dio! Egli Dio non è presente in un luogo a patto che si sposti, viaggi, Dio è presente in tutti i luoghi contemporaneamente e allo stesso modo, non più con me e meno con te. Dio non dorme e non sonnecchia, non ha bisogno di riposare, Egli non si affatica e non si stanca. Le cose non Gli succedono sotto il naso e non se ne accorge, magari non le vede perché dorme, a noi possono sfuggire, ma a Lui mai.

LA PRESENZA

E quelli si misero a gridare più forte, e a farsi delle incisioni addosso, secondo il loro costume, con spade e lance, finché grondavano sangue (v. 28)

Ci viene descritto dunque un culto che aveva valore, importanza, solo nella misura in cui creava delle sensazioni. Dio non è in mezzo a noi se Lo sentiamo. Dio è in mezzo a noi perché ce lo dice la Sua Parola, perché Egli stesso lo ha promesso: “… dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Matteo 18:20), e siccome è in mezzo a noi, secondo la Sua promessa, allora Lo sentiamo. Non Lo ringraziamo quando siamo contenti, ma Lo ringraziamo anche quando siamo afflitti, perché l’afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza e l’esperienza speranza. Non Lo serviamo perché sentiamo di farlo, ma perché ne è degno.

Eliseo Cardarelli